Oltre l’empatia: l’imprevedibilità dell’essere

L’empatia è la capacità di entrare nello stato emotivo dell’altro e di saperlo condividere. Fin qui tutto bene, il termine e il suo significato stanno ormai entrando, lentamente, nell’immaginario collettivo. Il problema di fondo è che più le reazioni di una persona sono prevedibili più questa persona funziona attraverso un meccanismo di reazione alle situazioni definito dalla sua cultura soggettiva e di appartenenza (l’aspetto storico-culturale del pensare collettivo, in poche parole).Ovviamente più una persona agisce e riflette limitandosi a questa coscienza collettiva, meno il suo processo di individuazione è evoluto. In parole povere la sua persona è poco individualizzata, si colloca su un piano comune e collettivo, la sua coscienza ha integrato poco gli aspetti inconsci e quindi si trova su uno scarso piano di profondità, o meglio, non si è confrontata a sufficienza con le profondità oscure del suo inconscio. In termini junghiani l’Io non è ancora diventato il Sé, è solo un banale ripetitore di concetti di buon senso comune.
L’unicità dell’individuo non sta dunque nel collettivo (o meglio, non solo nel collettivo), sta altrove. L’individuo in questa sua unicità è un individuo creativo, originale. È quindi una persona imprevedibile, sorprendente, mai banale. Da questo tipo di persona, di conseguenza, non sappiamo mai cosa aspettarci: se ne esce spesso con impressioni che ci spiazzano e ci fanno riflettere (se abbiamo voglia di riflettere rimettendo in gioco il nostro credo radicato).
Il problema dell’empatia è che spesso nel procedimento empatico ci basiamo su processi già dati, preimpostati e facciamo fatica a inglobare, nella nostra capacità di riconoscere lo stato emotivo dell’altro, la persona creativa. Può quindi capitare che si possa essere empatici solo per le espressioni più comuni e collettive di una persona, per entrare davvero nel processo mentale delle personalità più individualizzata ci vuole altro. O essere degli analitici e fenomenali detective del pensiero umano o essere creativi come loro.
Questi limiti del procedimento empatico lo vediamo spesso a scuola, quando allievi difficilmente catalogabili non vengono compresi appieno dai loro insegnanti. Possono persino rientrare in categorie spiacevoli, essere definiti “settoriali”, “svogliati”, “ingestibili”, persino, a volte, soprattutto nel caso di soggetti introversi, “antipatici”, “poco partecipi alle attività della classe”. In questo modo possiamo solo penalizzare questo genere di allievi.
L’unicità dell’essere è un mistero. Il mistero della personalità dovrebbe essere la norma, invece tendiamo a preferire la banalità dell’essere, comportamenti prevedibili e rassicuranti da parte dell’altro. Amiamo l’inautenticità e rischiamo, in quanto insegnanti, di coltivare soggetti inautentici.

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